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Red Hanuman
03-10-2014, 21:49
“Uomo sulla Luna”, mistero risolto
Non è conseguenza dell’impatto con un asteroide, bensì l’esito di un’antica attività vulcanica il profilo dell’Oceanus Procellarum, il più grande fra i mari lunari. La scoperta, oggi sulla copertina di Nature, realizzata grazie ai dati raccolti dalle sonde GRAIL della NASA
di Marco Malaspina


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La Luna piena vista dalla Terra. Le anomalie gravitazionali che circondano la regione dell’Oceanus Procellarum, rilevate dalle sonde GRAIL, sono state sovrapposte con colorazione rossa. Crediti: Kopernik Observatory/NASA/Colorado School of Mines/MIT/JPL/Goddard Space Flight Center


Si estende per circa quattro milioni di km quadrati sul versante occidentale del lato visibile della Luna, si chiama Oceanus Procellarum ed è il più grande fra i mari lunari. La conformazione vagamente – molto vagamente, a onor del vero – antropomorfa delineata delle sue “coste” ha dato origine a una pareidolia lunare fra le più comuni, quella nota come “The Man in the Moon”. Gli scienziati ci vedono invece un enorme punto interrogativo: come si è formato? Studi recenti avevano puntavano il dito sull’impatto con un asteroide, per spiegare l’origine del grande bacino.


Ma una ricognizione gravitazionale ad altissima precisione, resa possibile dai dati raccolti fino al 2012 dalle sonde gemelle GRAIL della NASA, sembra ora escludere la possibilità di una causa esterna, puntando piuttosto il dito su un’origine endogena. Secondo uno studio pubblicato su Nature, infatti, il colpevole è da ricercarsi in una sorta di antico “sistema fognario” vulcanico: lunghe fratture sulla crosta lunare attraverso le quali, fra i 4 e i 3 miliardi di anni fa, la lava sarebbe fluita inondando l’immenso bacino, per poi solidificarsi fino a formare gli scuri plateau basaltici visibili dalla Terra.


A insospettire gli autori della ricerca, è stata la forma dell’Oceanus Procellarum emersa dall’analisi delle variazioni di densità delle rocce: non circolare o elissoidale, come ci si aspetterebbe se all’origine vi fosse un impatto da asteroide, bensì curiosamente poligonale, con angoli di circa 120 gradi. Dunque segmenti rettilinei, più compatibili appunto con enormi fratture da tensione. Una scoperta, questa, che riempie di soddisfazione la responsabile della missione GRAIL Maria Zuber, del MIT, fra le autrici dell’articolo: «Nella scienza ci sono un sacco di cose davvero complicate. Io però ho sempre sognato di trovare risposte a domande semplici. Quante persone, guardando la Luna, si sono chieste cosa potesse mai aver dato origine alle forme che vediamo? Ecco, lasciatemelo dire, questo è l’enigma che volevo sciogliere».


E a proposito di domande semplici senza risposta, resta ancora da capire come possa essersi sviluppata, sulla Luna, una simile attività magmatica. «All’origine potrebbe esserci il decadimento radioattivo, in profondità, di elementi che producono calore. Ma a innescare un’eruzione vulcanica potrebbe anche essere stato, questa volta sì, un impatto di grandi dimensioni. Se fosse questo il caso, però», osserva Zuber, «di tale impatto non è rimasta la benché minima traccia».


Per saperne di più:


Leggi su Nature l’articolo “Structure and evolution of the lunar Procellarum region as revealed by GRAIL gravity data (http://www.nature.com/nature/journal/v514/n7520/full/nature13697.html)“, di Jeffrey C. Andrews-Hanna, Jonathan Besserer, James W. Head III, Carly J. A. Howett, Walter S. Kiefer, Paul J. Lucey, Patrick J. McGovern, H. Jay Melosh, Gregory A. Neumann, Roger J. Phillips, Paul M. Schenk, David E. Smith, Sean C. Solomon e Maria T. Zuber


Articolo originale QUI (http://www.media.inaf.it/2014/10/02/oceanus-procellarum/).