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Red Hanuman
24-07-2014, 11:39
Rivoluzione da record per un esopianeta
Stabilito un nuovo primato spulciando nei dati della sonda NASA Kepler: l’intervallo di transito più lungo mai osservato. Grande come Urano, Kepler-421b impiega quasi due anni terrestri a compiere un’intera orbita attorno alla sua stella, situata a 1000 anni luce da noi
di Marco Malaspina


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Rappresentazione artistica dell’esopianeta Kepler-421b. Crediti: David A. Aguilar (CfA)


Cent’anni di solitudine, se mai su Kepler-421b sorgesse una Macondo, là durerebbero circa 193 anni dei nostri. Nulla di paragonabile al periodo orbitale monstre di GU Piscium b, dove le candeline si spengono ogni 800 secoli, e pur sempre un intervallo modesto anche rispetto ai 780 giorni d’una rivoluzione marziana. Ma fra tutti gli esopianeti individuati grazie al metodo del transito (la tecnica utilizzata dalla sonda NASA Kepler, protagonista della scoperta), Kepler-421b è indubbiamente quello sul quale un anno dura di più: 704 giorni separano infatti due occultazioni successive della stella madre. Un intervallo sufficiente a far entrare a pieno titolo Kepler-421b nel sempre più vario, e sorprendente, Guinness dei primati extrasolari.


Ed è proprio questa peculiarità, ovvero l’aver individuato un simile esopianeta con la tecnica dei transiti, a giustificare l’interesse per la scoperta. Interesse che non sta certo nel record di durata, quanto nella difficoltà di osservare il fenomeno. «Imbattersi in Kepler-421B è stato un colpo di fortuna», ammette David Kipping, dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, primo autore dell’articolo (non ancora pubblicato) che descrive la scoperta. «Più un pianeta è distante dalla sua stella, più è raro che si possa osservarne il transito dalla Terra: l’allineamento dev’essere esattamente quello giusto».


Un colpo di fortuna, ma anche un premio alla tenacia. La sonda Kepler ha osservato quella porzione di cielo ininterrottamente per quattro anni, registrando meticolosamente le variazioni di luminosità (dovute all’occultazione da parte dei pianeti) di circa 150mila stelle. Ebbene, nell’arco dei quattro anni, la luminosità di Kepler-421 – la nana arancione che ospita l’esopianeta, a circa mille anni luce da noi, nella costellazione della Lyra – è calata due volte soltanto. Una vera rarità, considerando che la maggior parte degli oltre 1800 esopianeti scoperti da Kepler hanno periodi orbitali alquanto brevi: poche decine di giorni, se non addirittura una manciata di ore.


La lunga durata d’un anno su Kepler-412b, le cui dimensioni sono paragonabili a quelle di Urano, è legata alla distanza dalla stella madre, stimata attorno ai 177 milioni di km. Numeri che, sommati alle caratteristiche fisiche della stella, suggeriscono un mondo dalle temperature glaciali: circa 93 gradi sotto zero. E che situano Kepler-412b – altro primato degno di nota – al di là della cosiddetta “frost line” (o “snow line”): il confine virtuale che separa la regione entro la quale si formano i pianeti rocciosi da quella dove hanno origine i giganti gassosi. Nel nostro Sistema solare, per esempio, andrebbe tracciata fra Marte e Giove.


Una linea di demarcazione cruciale per gli astronomi, in quanto è solo al di là della frost line che i grani di ghiaccio all’origine dei pianeti gassosi possono addensarsi senza che l’acqua evapori. E allora come si spiegano tutti quei giganti gassosi in orbita strettissima attorno alle loro stelle madri? I teorici propendono per un processo di migrazione: poco dopo essersi formati, abbandonerebbero la periferia per trasferirsi verso l’interno del proprio sistema. Un processo che non sempre avviene, però: almeno questo è quanto l’esistenza stessa di Kepler-412b suggerisce agli scienziati. «Fra tutti quelli scoperti con la tecnica del transito», osserva infatti Kipping, «questo è il primo esempio di gigante gassoso potenzialmente non soggetto a migrazione».


Per saperne di più:


Leggi su arXiv l’articolo “Discovery of a Transiting Planet Near the Snow-Line (http://arxiv.org/abs/1407.4807)“, di David M. Kipping, Guillermo Torres, Lars A. Buchhave, Scott J. Kenyon, Christopher E. Henze, Howard Isaacson, Rea Kolbl, Geoff W. Marcy, Stephen T. Bryson, Keivan G. Stassun e Fabienne A. Bastien

Articolo originale QUI (http://www.media.inaf.it/2014/07/22/pianeta-bradipo/).