etruscastro
22-11-2012, 17:51
CLIMATIZZAZIONE DELLE OTTICHE
Per gli astrofili amatoriali e professionisti, il segreto per una fruttuosa e appagante sessione astronomica che sia visuale o astrofotografica è saper sfruttare appieno le condizioni ottico/meccaniche dei propri strumenti.
Ovviamente, oltre a saper come sfruttare appieno la configurazione ottica con tutto quel che concerne l’uso (come gli oculari o diagonali o tutti il kit fotografico), oltre che meccanico (come la perfetta conoscenza della propria montatura), un’aspetto a volte sottovalutato anche da astrofili progrediti è quella di far raggiungere il perfetto equilibrio termico al proprio strumento.
Oltre a far climatizzare la struttura del proprio strumento, è fondamentale avere lo specchio ( o lente) perfettamente in temperatura con l’esterno.
Cosa comporta a livello pratico uno strumento non in temperatura?
Gli effetti sono molteplici ma a volte sfuggenti, e variano da configurazione a configurazione dei vari strumenti.
Telescopi come i rifrattori, essendo strumenti generalmente “più piccoli” e dotate di lenti sono quelli che “soffrono meno” di questo fenomeno, anche se bisogna far attenzione a non generalizzare.
Un rifrattore dotato di lenti a doppietto impiegherà meno tempo ad entrare in temperatura a differenza di un tripletto spaziato in aria proprio per la maggiore difficoltà di stabilizzare la temperatura interna tra i vari “vani” poste tra una lente e l’altra.
Un telescopio particolarmente soggetto alla climatizzazione delle ottiche sono i telescopi a configurazione Newton e quindi, anche i Dobson, quest’ultimi soprattutto se hanno il tubo monolitico, dato che la lunga focale ostacola lo scambio termico.
Cosa comporta tecnicamente una climatizzazione non ottimale?
Tanto per cominciare gli specchi (ed in maniera minore anche le lenti) sono soggetti a delle contrazioni dovute proprio alla variazione della temperatura dello specchio, anche per questo motivo si consiglia sempre, durante la collimazione, di non stringere mai drasticamente le viti, proprio per evitare un forte disassamento dello specchio, e quindi è fortemente consigliabile di non far prendere scambi di temperatura eccessivi in brevissimo tempo tra il massimo (magari quando il telescopio si trova in appartamento durante il periodo invernale, ipotizziamo 22°) ed il minimo, come quando lo si porta direttamente fuori (magari con una temperatura di 3-5°), proprio per evitare forti shock termici agli specchi.
Ma sicuramente gli strumenti più ostici da portare in temperatura sono i telescopi in configurazione Schmidt Cassegrain (SC)e Maksutov Cassegrain (MAK) proprio per la loro configurazione a tubo ottico “chiuso” tra lo specchio primario e la lastra del secondario o menisco.
Come possiamo accorgerci se il nostro strumento non è in temperatura?
L’effetto visuale classico è quella che osserviamo direttamente all’oculare, soprattutto quando si osservano oggetti luminosi (Pianeti, Luna, stelle particolarmente luminose) è data proprio dall’aria “calda” all’interno del tubo che con moti turbolenti cercano di risalire per termoregolarsi con l’aria fredda dell’esterno, e comporta l’effetto che gli oggetti osservati mostrano un’effetto “bollitura” un po’ quello che succede quando si puntano oggetti bassi all’orizzonte che soffrono della turbolenza atmosferica.
Un altro effetto visuale classico, è il problema della focheggiatura, uno specchio non in temperatura non raggiungerà mai (o con molta fatica) il punto di fuoco.
Ma come posso evitare o migliorare i tempi per climatizzare uno specchio?
Innanzitutto è il caso (per chi può!) stoccare il proprio telescopio in un’ambiente in linea con la temperatura esterna (magazzini, taverne, garage ….. ) un luogo che sia più che altro asciutto, proprio in virtù del fatto di semplificare ed avvantaggiarsi con i tempi di acclimatamento una volta all’esterno.
Per chi fosse “obbligato” a stoccare il proprio strumento in appartamento è il caso, 2-3 ore prima, di metterlo all’esterno al riparo dal Sole per stabilizzarlo.
Strumenti di ultima concezione, o comunque dotati di specchi di diametro generoso ( > 8” ) vengono montati delle ventole per anticipare la termoclimatizzazione.
Queste ventole sono molto utili perché riescono a dimezzare anche della metà il tempo necessario per raggiungere l’obbiettivo, i problemi opposti però sono 2:
1-la ventola aspira anche polvere che si depositerà sullo specchio (anche per questo molti astrofili smontano e rimontano al contrario tale ventola)
2- nel momento dell’osservazione la ventola dovrà spegnersi per evitare proprio l’effetto “turbolenza” sopra descritta.
Nei telescopi SC o Mak, si può togliere il tappo posto nella culatta del telescopio, stando ben attenti a lasciare il foro in direzione “alto” per favorire lo scambio termico (attenzione che non ci sia polvere che potrebbe infiltrarsi all’interno).
Potremmo dire che per telescopi Newton fino a 8” potrebbero servire 60-75minuti di acclimatamento (dipende dalla differenza di temperatura), oltre, diciamo da 10” in poi, potrebbero servire anche 90-120 minuti.
Ben diverso il discorso per gli Sc o Mak, per telescopi fino a 8” occorreranno 90-120 minuti, mentre per strumenti più importanti possiamo arrivare anche 150-180minuti.
ATTENZIONE: come al solito il diavolo si nasconde nei dettagli:
per avere un’eccellente efficienza di tutto il set up, non basta climatizzare le ottiche, ma dovranno ambientarsi anche tutti gli accessori…… oculari, Barlow, diagonali ecc ecc.
Da un recente studio sembra che i telescopi soffrano sempre e comunque sbalzi drastici di temperatura, anche se già climatizzati, soprattutto in quelle zone (montane) dove con il calare del Sole la temperatura precipita….. è stato osservato che uno strumento può auto-termoregolarsi entro un range che va tra i 0.5 e 1 grado/ora, oltre (ipotizziamo un brusco calo da un’ora all’altra anche di 3 gradi) gli specchi saranno comunque sempre in criticità.
Etruscastro
Per gli astrofili amatoriali e professionisti, il segreto per una fruttuosa e appagante sessione astronomica che sia visuale o astrofotografica è saper sfruttare appieno le condizioni ottico/meccaniche dei propri strumenti.
Ovviamente, oltre a saper come sfruttare appieno la configurazione ottica con tutto quel che concerne l’uso (come gli oculari o diagonali o tutti il kit fotografico), oltre che meccanico (come la perfetta conoscenza della propria montatura), un’aspetto a volte sottovalutato anche da astrofili progrediti è quella di far raggiungere il perfetto equilibrio termico al proprio strumento.
Oltre a far climatizzare la struttura del proprio strumento, è fondamentale avere lo specchio ( o lente) perfettamente in temperatura con l’esterno.
Cosa comporta a livello pratico uno strumento non in temperatura?
Gli effetti sono molteplici ma a volte sfuggenti, e variano da configurazione a configurazione dei vari strumenti.
Telescopi come i rifrattori, essendo strumenti generalmente “più piccoli” e dotate di lenti sono quelli che “soffrono meno” di questo fenomeno, anche se bisogna far attenzione a non generalizzare.
Un rifrattore dotato di lenti a doppietto impiegherà meno tempo ad entrare in temperatura a differenza di un tripletto spaziato in aria proprio per la maggiore difficoltà di stabilizzare la temperatura interna tra i vari “vani” poste tra una lente e l’altra.
Un telescopio particolarmente soggetto alla climatizzazione delle ottiche sono i telescopi a configurazione Newton e quindi, anche i Dobson, quest’ultimi soprattutto se hanno il tubo monolitico, dato che la lunga focale ostacola lo scambio termico.
Cosa comporta tecnicamente una climatizzazione non ottimale?
Tanto per cominciare gli specchi (ed in maniera minore anche le lenti) sono soggetti a delle contrazioni dovute proprio alla variazione della temperatura dello specchio, anche per questo motivo si consiglia sempre, durante la collimazione, di non stringere mai drasticamente le viti, proprio per evitare un forte disassamento dello specchio, e quindi è fortemente consigliabile di non far prendere scambi di temperatura eccessivi in brevissimo tempo tra il massimo (magari quando il telescopio si trova in appartamento durante il periodo invernale, ipotizziamo 22°) ed il minimo, come quando lo si porta direttamente fuori (magari con una temperatura di 3-5°), proprio per evitare forti shock termici agli specchi.
Ma sicuramente gli strumenti più ostici da portare in temperatura sono i telescopi in configurazione Schmidt Cassegrain (SC)e Maksutov Cassegrain (MAK) proprio per la loro configurazione a tubo ottico “chiuso” tra lo specchio primario e la lastra del secondario o menisco.
Come possiamo accorgerci se il nostro strumento non è in temperatura?
L’effetto visuale classico è quella che osserviamo direttamente all’oculare, soprattutto quando si osservano oggetti luminosi (Pianeti, Luna, stelle particolarmente luminose) è data proprio dall’aria “calda” all’interno del tubo che con moti turbolenti cercano di risalire per termoregolarsi con l’aria fredda dell’esterno, e comporta l’effetto che gli oggetti osservati mostrano un’effetto “bollitura” un po’ quello che succede quando si puntano oggetti bassi all’orizzonte che soffrono della turbolenza atmosferica.
Un altro effetto visuale classico, è il problema della focheggiatura, uno specchio non in temperatura non raggiungerà mai (o con molta fatica) il punto di fuoco.
Ma come posso evitare o migliorare i tempi per climatizzare uno specchio?
Innanzitutto è il caso (per chi può!) stoccare il proprio telescopio in un’ambiente in linea con la temperatura esterna (magazzini, taverne, garage ….. ) un luogo che sia più che altro asciutto, proprio in virtù del fatto di semplificare ed avvantaggiarsi con i tempi di acclimatamento una volta all’esterno.
Per chi fosse “obbligato” a stoccare il proprio strumento in appartamento è il caso, 2-3 ore prima, di metterlo all’esterno al riparo dal Sole per stabilizzarlo.
Strumenti di ultima concezione, o comunque dotati di specchi di diametro generoso ( > 8” ) vengono montati delle ventole per anticipare la termoclimatizzazione.
Queste ventole sono molto utili perché riescono a dimezzare anche della metà il tempo necessario per raggiungere l’obbiettivo, i problemi opposti però sono 2:
1-la ventola aspira anche polvere che si depositerà sullo specchio (anche per questo molti astrofili smontano e rimontano al contrario tale ventola)
2- nel momento dell’osservazione la ventola dovrà spegnersi per evitare proprio l’effetto “turbolenza” sopra descritta.
Nei telescopi SC o Mak, si può togliere il tappo posto nella culatta del telescopio, stando ben attenti a lasciare il foro in direzione “alto” per favorire lo scambio termico (attenzione che non ci sia polvere che potrebbe infiltrarsi all’interno).
Potremmo dire che per telescopi Newton fino a 8” potrebbero servire 60-75minuti di acclimatamento (dipende dalla differenza di temperatura), oltre, diciamo da 10” in poi, potrebbero servire anche 90-120 minuti.
Ben diverso il discorso per gli Sc o Mak, per telescopi fino a 8” occorreranno 90-120 minuti, mentre per strumenti più importanti possiamo arrivare anche 150-180minuti.
ATTENZIONE: come al solito il diavolo si nasconde nei dettagli:
per avere un’eccellente efficienza di tutto il set up, non basta climatizzare le ottiche, ma dovranno ambientarsi anche tutti gli accessori…… oculari, Barlow, diagonali ecc ecc.
Da un recente studio sembra che i telescopi soffrano sempre e comunque sbalzi drastici di temperatura, anche se già climatizzati, soprattutto in quelle zone (montane) dove con il calare del Sole la temperatura precipita….. è stato osservato che uno strumento può auto-termoregolarsi entro un range che va tra i 0.5 e 1 grado/ora, oltre (ipotizziamo un brusco calo da un’ora all’altra anche di 3 gradi) gli specchi saranno comunque sempre in criticità.
Etruscastro