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Red Hanuman
14-04-2015, 22:34
Non tutte le supernove “Ia” sono uguali
Recenti osservazioni compiute con i telescopi spaziali Swift e Hubble suggeriscono l’esistenza di due diversi tipi di supernovae “Ia”. Mettendo così in dubbio la loro affidabilità come “candele standard” per misurare l’accelerazione dell’universo e la quantità di energia oscura
di Marco Malaspina


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La galassia M101 osservata dal telescopio spaziale Swift, con l’emissione ultravioletta rappresentata in blu e quella ottica in rosso. Evidenziata dalle barre gialle, la supernova SN 2011fe. Crediti: NASA/Swift


Grazie alla loro straordinaria regolarità, sono i “righelli cosmici” presenti da anni nell’astuccio d’ogni astrofisico, strumenti d’elezione per prendere le misure a un universo in espansione. Questo perché le supernove di tipo Ia esplodono tutte allo stesso modo, tutte al superamento di un’identica soglia: il limite di Chandrasekhar, corrispondente a circa 1.44 masse solari. Soglia raggiunta da una nana bianca consumando poco a poco, in un sistema binario, la materia sottratta alla stella compagna. Insomma, un perfetto meccanismo a orologeria, in grado di produrre esplosioni di luminosità pressoché identica – da qui l’appellativo di “candele standard” – in tutto l’universo. Dunque un riferimento in teoria assoluto, irrinunciabile per calcolare la distanza delle galassie che le ospitano. Ebbene, alcune recenti osservazioni sembrano mostrare che così standard non sono: di supernove Ia potrebbero esisterne almeno due diversi sottotipi.


A far sorgere il dubbio, le osservazioni compiute in banda ultravioletta, utilizzando il telescopio spaziale Swift della NASA, da un team di astronomi guidato da Peter Milne della University of Arizona, poi confrontate con quelle ottenute in banda ottica dal telescopio spaziale Hubble. Proprio i dati in ultravioletto hanno evidenziato la presenza di differenze inattese fra le supernove osservate. Differenze emerse sotto forma di lievi spostamenti spettrali verso il rosso o verso il blu, assai difficili da cogliere affidandosi ai soli dati in banda ottica, e che potrebbero avere importanti ripercussioni in ambito cosmologico.


«Ciò che abbiamo trovato è che non si tratta di differenze casuali, anzi: ci inducono a distinguere le supernove di tipo Ia in due diversi gruppi. E il gruppo che risulta minoritario a breve distanza da noi diventa quello predominante a distanze maggiori – dunque quando l’universo era più giovane», spiega Milne. «Andando indietro nel tempo, vediamo dunque un cambiamento nella popolazione delle supernove. L’esplosione sembra avere qualcosa di diverso, qualcosa che non si coglie osservando in banda ottica, ma che diventa evidente in ultravioletto. Poiché nessuno l’aveva mai notato prima, queste supernove erano state gettate insieme nello stesso mucchio. Ma se ne osserviamo dieci fra quelle a noi più vicine, queste saranno in media più “rosse” di quanto non lo sia un campione di altre dieci scelte fra quelle più lontane».


La conseguenza più eclatante di questa non uniformità sarebbe, se confermata, che l’espansione dell’universo accelera meno del previsto. Le supernove di tipo “Ia” sono infatti uno dei tre pilastri osservativi (gli altri due sono la radiazione di fondo cosmico a microonde e le oscillazioni barioniche acustiche) a sostegno dell’espansione accelerata, scoperta per la quale Saul Perlmutter, Brian Schimdt e Adam Reiss hanno ottenuto nel 2011 il Nobel per Fisica (http://www.media.inaf.it/2011/10/04/nobel-per-la-fisica-all%E2%80%99universo-che-accelera/). Una conseguenza, dunque, che avrebbe a sua volta ripercussioni sulla quantità di energia oscura presente nel cosmo: in particolare, stando agli autori dello studio, potrebbe essere inferiore a quanto atteso.


E se la presenza della dark energy – per quanto ridimensionata – non sarebbe comunque messa in discussione dalle osservazioni di Milne e colleghi, è il possibile venir meno di uno strumento affidabile per studiarla a preoccupare maggiormente gli scienziati. «Il risultato presentato nell’articolo in questione è sicuramente allarmante, non tanto per l’esistenza o meno dell’energia oscura, un risultato che a mio modo di vedere rimane solido, ma per l’utilizzo delle supernove di tipo Ia nell’indagine sulla sua stessa natura», puntualizza infatti Enrico Cappellaro, astrofisico ed esperto di supernove presso l’Osservatorio astronomico dell’INAF di Padova, al quale abbiamo chiesto un commento. «Per quest’ultimo obiettivo la precisione richiesta è decisamente superiore, e quindi un problema sistematico nella calibrazione può essere catastrofico».


«D’altre parte», mette in guardia lo stesso Cappellaro, «devo ammettere di avere ancora qualche dubbio sulla consistenza dell’effetto trovato. C’è bisogno di migliorare la statistica per verificare se effettivamente si tratta di due popolazioni distinte, e per confermare l’evoluzione con il redshift delle proprietà delle supernove Ia».


Per saperne di più:


Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “The Changing Fractions of Type Ia Supernova NUV–Optical Subclasses with Redshift (http://iopscience.iop.org/0004-637X/803/1/20/)”, di Peter A. Milne, Ryan J. Foley, Peter J. Brown e Gautham Narayan


Articolo originale QUI (http://www.media.inaf.it/2015/04/13/supernovae-ia-swift/).

Enrico Corsaro
17-04-2015, 17:31
E questo e' davvero un bel problema adesso... proverò a vedere la cosa più in dettaglio appena posso.

Enrico Corsaro
22-04-2015, 16:02
Vedendo un pò l'articolo ho appreso che hanno riscontrato due gruppi distinti di SNe Ia, una con un eccesso di emissione nella banda blu del vicino ultravioletto e l'altro invece nella banda rossa sempre del vicino ultravioletto. Hanno fatto questa analisi sia per SNe a basso redshift, cioè vicine, sia per quelle a redshift più alto e quindi più lontane, trovando che il gruppo del blu domina su quello rosso per alti redshift, mentre la situazione si inverte a basso redshift. Però prendendo un gruppo a singolo, in funzione del redshift, l'eccesso di emissione rimane costante, stando a significare che queste popolazioni hanno preservato le stesse caratteristiche al passare del tempo e che quindi si tratta di due gruppi distinti di SNe Ia.

Il problema sostanziale è che nel caso blu, e soprattutto a redshift elevati, si sta sottostimando la reale luminosità nella banda ottica di queste SNe Ia perchè di base si sottostima l'effetto dell'estinzione, cioè l'abbassamento della luminosità causato dalla presenza di mezzo interstellare quali polveri e gas. Più è distante la SN, più l'estinzione è pronunciata e tipicamente è una funzione proprio della distanza dell'oggetto.
In altre parole questo vale a dire che le distanze che stiamo misurando con queste supernovae sono più piccole di quanto credevamo. Questo mostra che, prendendo un diagramma dall'articolo che allego a seguire e che mostra l'eccesso di emissione in funzione di un parametro cosmologico che fornisce la percentuale totale di materia dell'Universo,
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si ottiene che tale percentuale, secondo il modello standard, prendendo in esame solo i dati delle SNe Ia (mostrato con i cerchi colorati), salirebbe addirittura fino a più del 45% del totale, contro il 30% attuale, una differenza drammatica! Questo è conseguenza del fatto che se le distanze ad alto redshift che calcoliamo sono di fatto più piccole di quanto si credeva, l'Universo appare in una espansione accelerata meno marcata, ovvero l'effetto di accelerazione dell'espansione provocato dell'energia oscura risulta meno forte (meno pronunciato) e questo viene compensato con un nuovo bilancio tra le due componenti di materia ed energia oscura, facendo chiaramente aumentare quella relativa alla materia a sfavore della seconda.
Spiegherò comunque presto in un articolo come questo sistema funziona, fornendo tutti i dettagli necessari per capirlo.