Il lancio del telescopio spaziale James Webb, il più grande e potente telescopio mai lanciato nello spazio, ha prodotto risultati sorprendenti nei primi mesi di operazioni. La sua sensibilità e l’incredibile potere risolvente nell’infrarosso ci stanno deliziando con immagini spettacolari anche di oggetti già osservati da Hubble. Ma rispetto alle osservazioni di HST abbiamo visto accendersi un’infinità di nuove stelle e galassie: le prime erano nascoste da nubi di gas e polveri, le seconde troppo deboli e lontane per essere catturate.
C’è un nuovo paper pubblicato su Nature (ancora disponibile solo in forma di Accelerated Article Preview) che in questi giorni sta movimentando la comunità scientifica.
L’articolo, a prima firma di Ivo Labbé della Swinburne University of Technology, rileva l’osservazione di sei galassie osservate nell’Universo a soli 700 milioni di anni dal Big Bang.
La massa stimata di queste galassie va da 10 miliardi di masse solari sino a 100 miliardi per una del sestetto. C’è qualcosa che non torna perché le attuale teorie cosmologiche richiedono tempi molto maggiori per la formazione di strutture così grandi, che si ritiene si debbano formare per aggregazioni successive di cluster dapprima di stelle e poi di piccole galassie che vanno a generare oggetti via via più massicci.
Una possibile spiegazione avanzata dallo stesso Labbé è che esista una via alternativa, “fast track” nelle sue parole, per la formazione di galassie.
L’astronoma Emma Curtis-Lake dell’Università di Hertfordshire, non tra le firme dell’articolo, suggerisce invece che l’intensa luce rilevata dalle galassie possa essere in realtà prodotta dai processi di accrescimento di buchi neri supermassicci osservati nell’atto di inglobare materia. Anche questa categoria di oggetti è sotto attento scrutinio, perché la loro esistenza era giudicata fondamentalmente incompatibile con l’infanzia del Cosmo. JWST però ha già individuato un candidato SuperMassive Black Hole ancora più antico. La nascita e crescita di questi mostri potrebbe essere giustificata senza modificare pesantemente i modelli cosmologici attualmente in nostro possesso, ma più semplicemente grazie a una migliore comprensione dei processi fisici coinvolti.
Nel migliore spirito di collaborazione scientifica, Labbé e il suo team hanno già messo a disposizione della comunità di ricerca tutti i dati in loro possesso e la metodologia di analisi. In questo modo gli studi potranno essere ripetuti e verificati in modo indipendente. Un aiuto in tal senso viene sicuramente dal fatto che i dati grezzi appartengono al programma Cosmic Evolution Early Release Science (CEERS), un blocco di osservazioni del JWST rese pubbliche fin dal principio, mirato a illustrare agli astronomi le potenzialità di utilizzo del nuovo telescopio grazie all’osservazione di un’area di cielo con ottima sovrapposizione a precedenti rilevazioni da parte di Hubble.
Sarà fondamentale la verifica dello spettro delle sei galassie in oggetto, perché da ciò deriverà la conferma sulla loro effettiva distanza. Lo studio attuale è infatti basato sulla rilevazione tramite la NIRCam e tre filtri (F277W, F356W e F444W) con cui questo strumento del JWST è equipaggiato. Osservazioni complementari con lo spettrometro NIRSpec aiuteranno a decifrare con più precisione il red shift stimato grazie alla rilevazione della luce nel suo continuo e, in ultimo, a capire se dovremo davvero riscrivere il modello Lambda-CDM.
Fonti:
https://www.nature.com/articles/s41586-023-05786-2
https://www.sciencenews.org/article/james-webb-telescope-six-galaxies-old
https://www.space.com/james-webb-space-telescope-giant-distant-galaxies-surprise
https://ceers.github.io/
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