I buchi neri la cui fusione ha generato le onde gravitazionali rilevate lo scorso anno da LIGO potrebbero essere stati originati dal collasso di due stelle, e non di buchi neri primordiali, che invece si sarebbero formati in seguito a forti fluttuazioni nelle concentrazioni locali di materia nell’universo subito dopo il big bang.
I buchi neri primordiali inoltre non renderebbero conto di una parte significativa della materia oscura, come invece proposto da alcune teorie che cercano di spiegare l’esistenza di questo tipo sfuggente di materia. La materia oscura costituirebbe l’80 per cento della massa dell’universo e la sua esistenza è stata inizialmente dedotta dall’osservazione dei moti di rotazione delle galassie, visto che non interagisce con la radiazione elettromagnetica. (Il restante 20 per cento della materia del cosmo sarebbe composto dalla materia ordinaria.)
A sostenerle queste due posizioni è uno studio di ricercatori dell’Instituto de astrofisica de Canarias (IAC), dell’Università di La Laguna a Tenerife e dell’Università di Valencia, che firmano un articolo pubblicato su “The Astrophysical Journal Letters”.
Secondo un’ipotesi cosmologica, proprio nei buchi neri primordiali potrebbe nascondersi la sfuggente materia oscura. In tal caso negli aloni delle galassie dovrebbe esserci un significativo numero di buchi neri primordiali, e in particolare di buchi neri di massa intermedia, compresa fra tra 10 e 1000 volte quella del Sole. Diversamente dai buchi neri originati dalle stelle, la cui abbondanza e massa sono limitati dai modelli di formazione ed evoluzione stellare, i buchi neri primordiali potrebbero infatti esistere con una vasta gamma di masse e abbondanze.
Se i buchi neri primordiali fossero numerosi, allora alcuni di essi intercetterebbero la luce proveniente da quasar distanti e diretta verso la Terra. In particolare, i forti campi gravitazionali dei buchi neri potrebbero concentrare i raggi di luce, causando un aumento della luminosità apparente dei quasar. Questo effetto, noto come “microlente gravitazionale” è tanto più intenso quanto maggiore è la massa del buco nero. Inoltre, la probabilità di rilevare l’effetto è tanto maggiore quanto più elevato il numero i buchi neri.
Evencio Mediavilla e colleghi hanno ora analizzato l’aumento di luminosità, in luce visibile e raggi X, di 24 quasar osservati negli ultimi anni, per misurare l’effetto di microlente gravitazionale. I ricercatori hanno scoperto che l’intensità dell’effetto è relativamente bassa, pari a quella che ci si aspetterebbe da oggetti con una massa compresa tra 0,05 e 0,45 volte quella del Sole, ben sotto della massa di un buco nero di massa intermedia. Grazie a simulazioni al computer, hanno inoltre stimato che queste microlenti formano circa il 20 per cento della massa totale di una galassia, pari circa alla massa presente nelle stelle.
“Questi risultati – ha detto Mediavilla – implicano che non è affatto probabile che i buchi neri con masse tra 10 e 100 volte la massa del Sole costituiscano una frazione significativa della materia oscura. Per questo stesso motivo i buchi neri la cui fusione è stata rilevata da LIGO erano probabilmente nati dal collasso di stelle, quindi non erano buchi neri primordiali.”
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