Mai così lontano. Tredici miliardi di anni luce da noi. A tanto s’è spinto il team di ricercatori guidato da Teppei Okumura, del Kavli Institute for the Physics and Mathematics giapponese (Kavli IPMU), per trovare una falla nella Teoria della Relatività generale. Lo strumento? Una mappa 3D di tremila galassie a distanza record: appunto, 13 miliardi di anni luce. Niente da fare: l’impianto teorico elaborato un secolo fa da Albert Einstein non ha battuto ciglio. Resiste imperturbabile anche ai confini dell’universo visibile.
Ma cos’è accaduto? Da quando è stato scoperto, alla fine degli anni Novanta, che l’universo si sta espandendo a un ritmo accelerato, gli scienziati hanno provato a spiegarne il perché. Una risposta possibile sta nella misteriosa energia oscura, che se agisse da costante cosmologica, come proposto da Einstein, potrebbe essere all’origine dell’accelerazione. Ma se così non fosse, la teoria della Relatività generale, secondo la quale la gravità deforma lo spaziotempo, potrebbe entrare in crisi.
Okumura e colleghi si sono quindi armati dei dati prodotti da FastSound, una survey condotta con il Subaru Telescope su migliaia di galassie distanti, per analizzarne le velocità e la tendenza a unirsi in ammassi. Parametri grazie ai quali è stato possibile verificare che la costante cosmologica continua a comportarsi esattamente come ci si attende anche su lidi così remoti.
«Siamo andati a mettere alla prova la Teoria della Relatività generale più lontano di chiunque altro», dice Okumura, «ed è un privilegio poter pubblicare i nostri risultati 100 anni dopo che Einstein la propose per la prima volta».
Nessun altro fino a oggi, affermano i ricercatori giapponesi, era stato in grado di studiare come hanno fatto loro galassie a più di 10 miliardi di anni luce di distanza. E se ora ci sono riusciti è grazie allo strumento FMOS (Fiber Multi-Object Spectrograph) montato sul telescopio Subaru: uno spettrografo che consente di analizzare galassie a distanze compresa fra i 12,4 e i 14,7 miliardi di anni luce da noi. E la versione in arrivo, il Prime Focus Spectrograph, attualmente in costruzione, promette di poter spingere lo sguardo ancora più lontano.
Per saperne di più:
- Leggi su Publications of the Astronomical Society of Japan l’articolo “The Subaru FMOS galaxy redshift survey (FastSound). IV. New constraint on gravity theory from redshift space distortions at z∼4”, di Teppei Okumura, Chiaki Hikage, Tomonori Totani, Motonari Tonegawa, Hiroyuki Okada, Karl Glazebrook, Chris Blake, Pedro G. Ferreira, Surhud More, Atsushi Taruya, Shinji Tsujikawa, Masayuki Akiyama, Gavin Dalton, Tomotsugu Goto, Takashi Ishikawa, Fumihide Iwamuro, Takahiko Matsubara, Takahiro Nishimichi, Kouji Ohta, Ikkoh Shimizu, Ryuichi Takahashi, Naruhisa Takato, Naoyuki Tamura, Kiyoto Yabe e Naoki Yoshida
Articolo originale disponibile su Media INAF.
Grazie Enrico! Mi pare che questa ricerca faccia il paio con quella altrettanto recente nei raggi X di un nostro giovane cervello in trasferta in Alabama e pubblicata su MNRAS, in cui si analizzano ammassi di galassie distanti dai 760 milioni agli 8,7 miliardi di anni luce e che sembrano una ulteriore conferma del modello lambda-CDM che ci hai illustrato in modo così semplice e immediato nei tuoi post 'a puntate' dedicati. Mi chiedo però se questi studi non tendano a confermare i modelli piuttosto che a confutarli, ricercando questi riscontri (nel caso della ricerca a firma italiana il cosidetto 'effetto matrioska' sulla omogeneità della morfologia degli ammassi a diverse scale) piuttosto che quelli di un necessario tentativo di falsificazione. Ciao!
Si sono d'accordo, però è anche vero che cercando conferme al modello standard si cerca implicitamente una possibile confutazione. In realtà secondo me i problemi stanno più a monte, e cioè che è ancora vana la ricerca sulla reale natura della materia e energia oscure.