La notizia potrebbe essere una vera bomba. Prima di descrivervela, però, vorrei fare notare una cosa che mi ha un po’ deluso. Il sito dell’INAF, sempre piuttosto attento a riportare le notizie più recenti con chiarezza e precisione, ha descritto quest’ultima, estremamente innovativa, in modo poco comprensibile. L’argomento non è banale, ma girare intorno all’ostacolo e nascondere i concetti base, non aiutano certo a comprendere.
Ritengo doveroso, allora, cercare di gettare un po’ più di luce per non creare confusione a riguardo. So che l’argomento non è intuitivo e che per spiegarlo compiutamente bisognerebbe usare formule non banali. Tuttavia, credo che una visione semplicistica, ma abbastanza corretta, sia “dovuta” anche ai non addetti ai lavori. Dare i risultati come atti di fede è una cosa che non mi è mai piaciuta e lo sapete molto bene… Non picchiatemi, perciò, se sarò giocoforza un po’ troppo approssimativo.
Il problema nasce dalla definizione di redshift cosmologico. Tutti (o quasi) sanno cos’è. E’ lo spostamento verso il rosso dello spettro di una sorgente luminosa, causato dall’espansione dello Spazio-Tempo durante il tragitto che la luce ha percorso dal momento in cui è stata emessa fino alla nostra osservazione. Esso permette di risalire alla distanza della sorgente o, meglio, al tempo impiegato dalla luce per giungere fino a noi. Si considera, normalmente, come un indicatore di distanza. Ho scritto molti articoli a riguardo e con Francesca ne abbiamo parlato a lungo nel libro.
Tuttavia, limitarci solo a questa definizione non farebbe capire bene come funziona il nuovo metodo proposto dalla Case Western Reserve University. Cercherò, allora, di essere il più semplice possibile, aggiungendo la parte che l’INAF non ha spiegato.
Immaginiamo che una certa sorgente abbia una sua variazione luminosa intrinseca, sempre uguale (un po’ come capita per le supernove di tipo Ia), indipendente quindi dalla distanza o, meglio ancora, dal tempo in cui è avvenuta. In altre parole, la variazione di luce avviene sempre con le stesse modalità.
Consideriamo questa variazione luminosa proprio come una curva di luce con i suoi massimi e i suoi minimi. Il tempo necessario a compiere la curva di luce è sempre lo stesso, dato che la sua durata è così corta che tra l’inizio e la fine della variazione l’espansione dell’Universo è trascurabile.
Immaginiamo, adesso, di avere tre sorgenti poste a diverse distanze da noi (o meglio relative a tempi più o meno antichi nella storia dell’Universo). Di tutte e tre riceviamo la luce durante l’intervallo di osservazione (che è quello che è). A questo punto diventa importante il tempo impiegato dalla luce inviata all’inizio della curva di luce e quella inviata alla fine. Quella dell’inizio impiega sempre un tempo minore per giungere fino a noi rispetto a quella della fine. Se la sorgente è vicina questa differenza è relativamente piccola, ma se la sorgente è molto lontana la differenza di tempo può essere molto grande (il tragitto nello Spazio-Tempo allunga sempre di più l’intervallo di tempo tra inizio e fine della variazione luminosa). Ne segue che, nell’intervallo di tempo in cui viene eseguita l’osservazione, la sorgente più lontana mostra solo una piccola parte della sua curva di luce. Questa parte cresce al diminuire della distanza da noi della sorgente. Le curve di luce osservate, pur essendo originariamente uguali tra loro, vengono deformate dall’espansione dell’Universo. Le curve di luce appaiono diverse, come se la variazione di luminosità rallentasse per sorgenti molto distanti rispetto a quelle vicine, Anche questo è redshift o -quantomeno- è strettamente collegato all’effetto più conosciuto. In altre parole, è un redshift “temporale” (vedete perché si parla sempre di Spazio-Tempo…). Tutto ciò è rappresentato nella Fig. 1.
Spero di essere stato chiaro. Non ho voluto usare coni di luce o sfere che si gonfiano per non appesantire la trattazione, ma la rappresentazione approssimativa della figura dovrebbe bastare per far comprendere il concetto base che è quello che più mi interessa. Pronto a scendere in maggiori dettagli, ma prima cercate di riflettere a lungo sulla figura e di capirne il significato non difficile.
Cosa vediamo allora oggi? Le curve di luce appaiono molto diverse tra loro. Purtroppo non possiamo sapere se dipendono dall’espansione dell’Universo su curve di luce identiche poste a distanze diverse (come spiegato prima) o se sono invece curve di luce effettivamente diverse, poste a distanze simili tra loro.
Come possiamo risolvere il problema? Facilmente se abbiamo misurato qualche redshift cosmologico attraverso lo spostamento dello spettro verso il rosso (la sua visione classica).
La prima cosa da fare è raggruppare tra loro le sorgenti che sono alla stessa distanza (come dice il redshift) e guardare le loro curve di luce. Se sono confrontabili possiamo dire che siamo sulla strada giusta. Poi prendiamo un altro gruppo di sorgenti dello stesso tipo, con lo stesso redshift, ma diverso da quello precedente. Controlliamo le loro curve di luce. Se anch’esse sono uguali, ma diverse da quelle di prima, la strada è sempre più chiara. Non ci resta che provare a riportare questo gruppo alla distanza del primo gruppo, seguendo a ritroso il meccanismo che ho spiegato nella Fig.1.
Se, effettuando la correzione, ritrovo perfettamente la stessa curva di luce, posso concludere che essa rimane immutata e che la differenza mostrata oggi dipende solo dal tempo che la luce ha impiegato per giungere fino all’osservatore e quindi dall’età della sorgente nel contesto dello Spazio-Tempo.
La scoperta è magnifica. Non ho più bisogno di misurare il redshift di una sorgente di questo tipo, cosa non sempre facile. Mi basta osservare la curva di luce (più semplice da ottenere) e correggerla fino a farla coincidere con una di cui conosco già bene la distanza. La correzione necessaria mi permette di calcolarne la distanza o -se preferite- di calcolarne indirettamente il redshift! Qualcosa di veramente molto simile al metodo che applico alle supernove di Tipo Ia.
Esiste questo tipo di sorgente? Sembrerebbe proprio di sì. Così almeno hanno trovato i ricercatori della Case Western Reserve University. Essi hanno misurato le variazioni luminose di un certo numero di quasar (galassie con al centro un buco nero molto attivo) di cui era noto il redshift. Gli scienziati hanno messo in grafico la variazione luminosa di 14 quasar su un intervallo di tempo di centinaia di giorni. Dopo aver corretto per gli effetti dovuti all’espansione dell’Universo si è visto che la variazione luminosa appariva estremamente simile, proprio come se fosse una segno distintivo dei quasar. Una specie di respiro del buco nero centrale con cadenza costante e immutabile o -se preferite- un orologio estremamente preciso.
Ovviamente, bisognerà allargare il numero delle sorgenti su cui eseguire le correzioni e fare confronti e ripetute prove. Tuttavia, se le cose dovessero veramente funzionare, avremmo di fronte un salto qualitativo e quantitativo eccezionale nello studio dell’Universo primitivo. Possiamo, infatti, osservare milioni e milioni di quasar sparsi nell’Universo e posti a distanze molto diverse. Se veramente tutti mostrassero la stessa caratteristica, ossia una variazione luminosa precisa come un orologio o quasi, potremmo ricavare facilmente il loro redshif attraverso la correzione necessaria per rendere uguali le curve di luce osservate.
I quasar sarebbero nuovi fantastici indicatori di spazio e tempo. In parole povere, potremmo “mappare” accuratamente l’Universo fino a quando era solo 1/8 delle dimensioni attuali. Le supernove di Tipo Ia ci permettono, al momento, di tornare indietro solo fino a quando l’Universo era meno di tre volte più piccolo di oggi.
Un nuovo faro cosmico o -se preferite- un orologio capace di indicarci perfettamente luogo e tempo di milioni di sorgenti: una mappa spazio-temporale di un Universo ancora nella sua infanzia. Per non parlare del supposto effetto di accelerazione.
Non ci resta che aspettare e sperare nelle prossime osservazioni e riduzioni. Milioni e milioni di quasar ci aspettano!
Il lavoro originale si trova qui
Veramente affascinante! Tuttavia, non riesco a comprendere cosa possa rendere le curve di luce dei Quasar così perfettamente periodiche e simili tra di loro.....
Sarebbe bello leggere l'articolo originale, ma è a pagamento....
Penso, però, che non lo sappia ancora nessuno. Per adesso devono capire se sperimentalmente avviene così, poi si cercherà di spiegarlo. Sicuramente c'entra qualcosa l'accrescimento del buco nero, direi...
Bello, bellissimo,
Ho letto la notizia su Inaf e la stavo postando sull'articolo "Piu veloci della luce" per avere il parere di Enzo poi ho preferito aspettare (per non stressare) e il parere (con relativa integrazione) è arrivato più veloce della luce
L'interrogativo è sempre lo stesso quando si parla di spazio-tempo: se possiamo ricostruire com'era l'universo a grandezza un ottavo di adesso allora esiste una forma di contemporaneità
Il dubbio fondamentale, se ho capito bene, è: la variazione della densità media dell'universo è in grado di alterare lo scorrere generale del tempo.
La domanda successiva più logica (per me) diventa: il concetto di curvatura da campo gravitazionale è applicabile all'intero universo oppure no? E anche in caso affermativo, questa eventuale curvatura "universale" ha sul tempo gli stessi effetti di una curvatura "locale" da campo gravitazionale?
Mi pare, da risposte in altre discussioni, di aver capito che no: l'intero universo, per quanto "compresso" potesse essere nelle sue prime fasi, non incurva "globalmente" se stesso, almeno non più di quanto sia curva la sua geometria ipersferica. E in ogni caso questa curvatura non influisce sullo scorrere del tempo a livello universale.
O no?
Questo pomeriggio provo a scannerizzare il capitolo e (se riesco) lo allego.
C'è un riferimento ad un tempo universale legato alla costanza dei raggi cosmici.
riordate, comunque, che una curvatura generale dello spazio esiste. E' proprio lei che determina la forma. a sella, piatto o chiuso...
temo che, ancora una volta, si cerchi di andare oltre quello che già è stato accertato, senza comprendere appieno proprio quello che già si sa... Si parla di ipotesi e di visioni e di dubbi, senza forse aver compreso bene l'espansione dello spazio-tempo e la forma e il futuro dell'Universo. Può darsi, però, che mi sbagli...