Sappiamo ormai molto bene che la prima luce dell’Universo si riferisce al momento in cui la temperatura scende (3000 K) al punto da permettere la formazione degli atomi di idrogeno neutri. I fotoni sono finalmente liberi di lanciarsi verso lo spazio ed essere infine raccolti dalle nostre strumentazioni odierne dopo un viaggio che è durato più di 13 miliardi e mezzo di anni.
Questo momento così importante nella storia del Cosmo è quella che ha originato la celeberrima radiazione cosmica di fondo e che si riferisce proprio a un’età dell’Universo di soli 380 000 anni. Ovviamente, durante il lungo viaggio, l’energia della radiazione è diminuita in modo macroscopico e il redshift ha spostato di molto la lunghezza d’onda originaria, che oggi si presenta nella regione delle microonde (circa 2 mm). Essa permea l’intero Cosmo, presentando una temperatura di poco superiore ai 2.7 K (lo zero assoluto si trova a -273 °C).
Questo lampo di luce è durato però solo un attimo. Una volta formatisi gli atomi neutri di idrogeno, niente più poteva emettere luce e l’Universo entrò nella sua fase oscura, dove tutto era immerso in una nebbia impenetrabile. Un periodo lungo, durato almeno fino a un miliardo di anni dopo il Big Bang, quando finalmente la sempre più frequente nascita di stelle e galassie permise agli atomi di ionizzarsi e produrre nuovamente la luce, che ancora oggi illumina il cielo. Le stelle e le galassie sono riuscite a disperdere la nebbia, proprio come fa il Sole nelle grigie mattine d’inverno della pianura padana (quando ci riesce…).
Tuttavia, quella nebbia è un bel fastidio per gli astrofisici. Non nasconde un periodo qualsiasi e di scarsa importanza, ma proprio uno dei più fondamentali, quello in cui si sono formate le prime strutture a grandi dimensioni del Cosmo, proprio le galassie e le stelle. Se è vero che alla loro nascita la luce è riuscita a volte ad attraversare le nebbia e a giungere dopo almeno 13 miliardi di anni fino a noi, niente si può sapere delle loro fasi di formazione.
Qualcuno potrebbe dire: “La nascita delle stelle è un fenomeno che continuiamo a vedere anche oggi. Più o meno sarà stata la stessa cosa.”. Non è così semplice. Nell’era oscura esisteva quasi soltanto idrogeno e si formava lo prima generazione di stelle. In che modo? All’interno di ammassi gassosi già aggregati (galassie primitive) o come oggetti singoli che poco alla volta si sono uniti a formare la loro città cosmiche. Erano sicuramente dei giganti, i primi che hanno inseminato lo spazio di elementi più pesanti dell’idrogeno, dell’elio e di qualche traccia di litio.
Sarebbe proprio indispensabile poter scrutare in quella nebbia durante la formazione stellare, capire come il gas neutro si è accresciuto, come si sono formati i mostruosi buchi neri primordiali, attorno a cui -forse- si sono andate a costruire le galassie. Insomma, tutto un mondo da scoprire, che, purtroppo non ci ha inviato luce e che non riusciamo a vedere nemmeno con i più grandi e sofisticati telescopi. Niente da fare, l’idrogeno neutro non emette radiazione!
Ma è proprio vero? In effetti no. Gli atomi di idrogeno sono stabili, ma in grado di cambiare, di tanto in tanto, una caratteristica del loro elettrone. Non più di tanto, ma sufficientemente per darci qualche speranza. Per capire come possono cambiare questi atomi cosi sedentari e poco reattivi, dobbiamo analizzare il senso di rotazione delle particelle positive e negative. A seconda di come ruotano si può ottenere uno stato di maggiore o minore energia. Se la rotazione è concorde si è in una fase di massima energia, se invece le rotazioni avvengono in senso opposto si passa a una configurazione di minima energia.
Anche se questo cambiamento capita molto raramente, gli atomi erano talmente tanti che non era difficile che ciò capitasse in quelle nubi immerse nella nebbia più impenetrabile. Mi direte: “Sì, sì, molto bello, ma se non si riesce a vedere niente, poco ci importa che elettroni e protoni eseguissero questi balletti nemmeno troppo entusiasmanti. Noi non possiamo certamente assistere alla loro esecuzione non potendo ricevere una luce che non riuscivano a produrre”. E invece, no… Quando il verso di rotazione si ribalta e passa da uno stato di alta a uno di bassa energia, l’idrogeno neutro, pur nella sua apatia, emette un particolare fotone, scagliandolo verso lo spazio.
Nello spettro elettromagnetico si presenta come una linea di emissione collocata esattamente alla lunghezza d’onda di 21 cm. Un segno, un’etichetta indelebile che individua atomi di idrogeno completamente nascosti. Non possiamo non cercare di leggerla e di seguire attraverso di lei la storia di quegli ammassi di gas non ancora arrivati alla fine del loro lavoro di costruzione.
A parole sembra bello e semplice, ma nei fatti estremamente difficile. Innanzitutto, questa emissione ha subito un enorme redshift e quando arriva a noi è ormai spostata a una lunghezza d’onda dell’ordine dei due metri, diventando un segnale radio. Beh… abbiamo i radiotelescopi. Sì, ma le sorgenti di emissione delle riga a 21 cm sono moltissime e i segnali si mischiano creando non poca confusione. E poi, pensiamo a quante cose deve aver superato questo povero fotone durante il suo viaggio, non ultima la nostra atmosfera che ne limita e ne deforma il passaggio. Insomma, le potenzialità ci sono tutte, ma riuscire a discriminare le righe che provengono proprio dalla fase oscura è un bel problema tecnologico.
I passi in avanti, però, si susseguono e presto si potranno finalmente avere gli occhiali giusti per distinguere i segnali “veri” . Sarà un momento decisivo per lo studio della cosmologia. Si potranno finalmente “vedere” e descrivere i momenti di formazione delle prime stelle e galassie, eliminando la privacy che queste strutture hanno cercato di preservare in tutti i modi.
nello spazio esistono sorgenti che riescono a produrre una frequenza simile ?