
E’ quasi una decina d’anni che Christopher McKee (UC Berkeley) e Mark Krumholz (Princeton University) stanno costruendo modelli matematici sempre più sofisticati per indagare sulla formazione delle stelle più massicce. Negli ultimi tempi si sono espressamente dedicati a valutare quali possano essere in una nube gigante di idrogeno le condizioni che favoriscono la nascita di stelle massicce (tra 10 e 150 masse solari) piuttosto che di stelle di piccola massa come il Sole.
Nel loro studio più recente, pubblicato alla fine di febbraio su Nature, McKee e Krumholz suggeriscono che la precoce formazione di poche stelle di piccola massa possa essere l’elemento che apre la strada alla successiva formazione di stelle massicce. La chiave sta tutta nell’impatto che quelle piccole stelle giocano sulla nube, bloccandone sostanzialmente ogni ulteriore frammentazione. In altre parole: la nube di idrogeno non può più continuare in quel processo in grado di dare origine a numerose stelle di piccola massa, ma è costretta a far nascere un’unica stella massiccia.
“La formazione di queste stelle di piccola massa – spiega McKee – riscalda il gas della nube dando in questo modo un taglio netto alla sua frammentazione. Nella nube, insomma, inizia il normale processo di suddivisione che dovrebbe sfociare nella formazione di stelle di piccola massa, ma ecco che, a causa del riscaldamento, la frammentazione cessa di colpo e il resto del gas confluisce in un’unica stella gigante”.
Tipicamente una nube di idrogeno interstellare ha una temperatura di una decina di gradi sopra lo zero assoluto e il calore generato dalle stelle di piccola massa appena formatesi può portare la nube al doppio o al triplo di questo valore. Visto, però, che la temperatura necessaria ad arrestare il collasso è dell’ordine di qualche centinaio di gradi, come può funzionare il meccanismo proposto da McKee e Krumholz?
Il parametro chiave è la densità della nube. In nubi di bassa densità, la zona di influenza di ciascuna stella è piccola e contiene poca massa, dunque il suo effetto risulta irrilevante. Non è più così, invece, se la densità cresce. Il gas coinvolto in quel riscaldamento è molto di più e può anche capitare che le zone di influenza di quelle piccole stelle finiscano col comprendere la nube intera. Il riscaldamento della nube risulta allora estremamente efficace e la temperatura necessaria all’arresto della frammentazione viene agevolmente raggiunta.
Un’importante implicazione del meccanismo suggerito da McKee e Krumholz è che nelle regioni più esterne delle galassie, generalmente caratterizzate da densità al di sotto del limite di soglia suggerito dai due ricercatori, sarà privilegiata la formazione di piccole stelle a scapito di quella di stelle massicce. Poichè, però, le stelle più piccole appartenenti alle galassie distanti sfuggono alla nostra osservazione, è evidente il rischio di sottostimare l’entità della produzione stellare. E magari considerare ormai quiescente una galassia che, invece, sta ancora sfornando molte stelle, solo che – ahimé – sono troppo piccole per poterle scorgere.
Fonte: Coelum
Dunque le stelle più piccole fungono da “collante” riscaldando la nube di gas sufficientemente densa, che, raggiunta la temperatura necessaria, interrompe il processo di disgregazione e da luogo alla nascita di stelle giganti… molto interessante! 😎
C’è anche la possibilità che questo processo comporti “l’inglobazione” di stelle più piccole da parte della stella gigante?