
La densità della materia che compone le stelle di neutroni è la più alta che si possa osservare nell’Universo. L’immagine che spesso viene chiamata in causa è quella di una bilancia nella quale su un piatto viene collocato il monte Everest e sull’altro una semplice tazza di tè riempita con il materiale prelevato da una stella di neutroni. Immagine senza dubbio fantastica, ma rende davvero bene l’incredibile stato della materia che compone questi mostri del cielo.
Per comprendere appieno questi corpi celesti bisognerebbe conoscere il più possibile le loro caratteristiche fisiche, a cominciare dalle loro esatte dimensioni. Impresa – ahimè – che risulta davvero complicata, dato che si ha a che fare con oggetti di dimensioni di poche decine di chilometri. Due recentissimi studi, il primo appena pubblicato su Astrophysical Journal e il secondo di prossima pubblicazione sulla medesima rivista, sembrano però promettere un’importante svolta per simili osservazioni. Entrambi gli studi si fondano su rilevazioni X compiute da due osservatori orbitanti, il satellite europeo XMM-Newton dell’ESA e l’osservatorio giapponese Suzaku, il satellite per la radiazione X lanciato un paio di anni fa dall’Agenzia spaziale nipponica (ISAS/JAXA) e costruito in collaborazione con la NASA e il MIT.
Nel mirino dei ricercatori vi erano tre sistemi stellari binari (Serpens X-1, GX 349+2 e 4U 1820-30) composti da una stella di neutroni che sta risucchiando materiale dalla compagna. Obiettivo: studiare le linee spettrali provenienti dagli atomi di ferro che, assieme ad altro materiale, compongono il disco di accrescimento orbitante a pochissima distanza dalla superficie della stella di neutroni. Grazie all’estrema sensibilità delle apparecchiature di XMM-Newton e di Suzaku, i due team di ricercatori sono riusciti a ricostruire il corretto profilo delle linee spettrali e le distorsioni che lo caratterizzano.
La situazione che è emersa dalle osservazioni è perfettamente in linea con la distorsione dello spazio tempo prevista dalla Relatività generale e riconducibile alla potentissima azione gravitazionale della stella di neutroni. Finora questi effetti erano stati osservati solamente nei dischi di accrescimento dei buchi neri, ma ora si ha la certezza che anche nei pressi di una stella di neutroni le cose funzionano alla stessa maniera.
Oltre a questa conferma, però, gli studi dei due team hanno permesso di fare un altro notevole passo in avanti nella comprensione di questi residui stellari. Poichè, infatti, il disco di accrescimento segna il limite massimo per le dimensioni della stella di neutroni, l’accurata rilevazione di questi atomi in folle rotazione intorno alla stella ha permesso di dedurre le dimensioni massime dell’astro. Le misurazioni hanno sostanzialmente confermato quanto già avevano suggerito rilevazioni d’altro tipo: le stelle di neutroni non possono essere più grandi di 29-33 chilometri.
La nuova tecnica, insomma, sembra proprio destinata a un promettente futuro.
Fonte: Coelum
veramente un bel lavoro:cool:
mi associo al commento di davide. sorriso