Il nucleo di Mercurio
Quando nel 1974 e nel 1975 il Mariner 10 passò accanto a Mercurio, le sue apparecchiature rilevarono la presenza di un debolissimo campo magnetico. L’intensità misurata era solo un centesimo di quella del campo magnetico terrestre, ma bastò per mettere in allarme i planetologi. Il modello di Mercurio, infatti, considerate le ridotte dimensioni del pianeta, contemplava una struttura completamente solidificata, dunque non in grado di originare un campo magnetico. Il problema si è trascinato fino ai nostri giorni senza soluzione. Ora, però, sembra che si sia trovata una chiara risposta ai dubbi dei planetologi.
Jean-Luc Margot (Cornell University) e i suoi collaboratori, infatti, hanno nei giorni scorsi pubblicato su Science i risultati di una accurata campagna osservativa che indicherebbe la presenza di un nucleo fuso all’interno di Mercurio. Da cinque anni a questa parte il team di ricercatori ha utilizzato tre radiotelescopi (Goldstone, Arecibo e Green Bank) per inviare verso Mercurio un potente segnale radio e raccogliere l’$eco$ riflessa dal pianeta. La delicatezza dell’esperimento stava soprattutto nel fatto che le rilevazioni richiedevano che la Terra e Mercurio mantenessero un particolare allineamento, situazione che lasciava una finestra utile di soli venti secondi per ogni misurazione.
I dati raccolti nel corso di 18 separate osservazioni, hanno permesso al team di Margot di calcolare la velocità di rotazione di Mercurio con una precisione di una parte su centomila. Questa accuratezza ha messo in luce la presenza di librazioni di intensità doppia di quanto il modello planetario completamente solido richiedesse. Secondo gli astronomi l’unica spiegazione per una simile anomalia è che Mercurio abbia al suo interno un nucleo fuso. Il ragionamento, tutto sommato, è molto simile a quello che sta alla base del ben noto trucchetto utilizzato per vedere se un uovo è sodo oppure no: basta farlo ruotare su se stesso.
La scoperta di Margot, però, va ben oltre la scelta di un modello planetario piuttosto che di un altro. La presenza di un nucleo liquido, infatti, richiede che contenga elementi leggeri, ad esempio zolfo, che abbassino la temperatura di fusione del nucleo. Ma questo chiama inevitabilmente alla ribalta le teorie che descrivono la distribuzione di tali elementi e il loro rimescolamento nella nebulosa solare primordiale.
Insomma, come al solito problemi che ne tirano in ballo altri. La speranza è che la sonda Messenger partita nel 2004 e destinata a operare stabilmente inotrno a Mercurio nel 2011 riesca finalmente a chiarirne qualcuno.
Fonte: Coelum